giovedì 24 gennaio 2008

La fine del Prodismo



Dire il prodismo è scattare istantanee. Accendere flash sulla vita politica del paese di oltre un decennio. Uno stile di governo, ma anche di uno stile di vita. Professori di Nomisma e tortellini. Viaggi in treno e colpi di fiducia. Mortadelle e privatizzazioni. Corse in bicicletta e reti di potere. Maglioncini demodè e coalizioni rissose. Tute da sci e monete uniche. Portici e grand commis. Bologna e Bruxelles. Banche amiche, pullman e feste popolari.

La stagione del prodismo comincia tredici anni fa. Quando Massimo D'Alema gli dice "Romano, noi ti affidiamo la nostra forza". Fatti i conti significa vittorie e sconfitte. A Palazzo Chigi due volte nella polvere, due volte sull'altar. E cinque anni a capo della Commissione europea. In simbiosi opposta e parallela con l'avversario di sempre: Silvio Berlusconi.

Silvio e Romano. Il binomio attorno al quale l'Italia gira da una vita. Uno in elicottero, l'altro sulla station wagon. Uno alle Bermuda, l'altro in agriturismo. E da un decennio, mentre uno cazzeggia, l'altro sussurra. E non vuol dire che non morda.

Il Professore con l'aria da chierico nasce gran burocrate, con Andreotti si trasforma in ministro e alla fine diventa politico. Politico e inventore di politica, perché l'Ulivo è farina del suo sacco. Il sogno di fare oggi quello che ad Aldo Moro impedirono di fare gli anni di piombo. Cattolici ed comunisti, ormai ex, sotto lo stesso albero. Le due grandi chiese della vita pubblica italiana da portare al governo del paese.

Il Professore è cattolico, ma adulto, come disse ai tempi del referendum sulla legge 40. E la sua chiesa laica è Bologna. Bologna la grassa e la colta. La città del centro studi Nomisma e degli amici professori di sempre: Pecci, Onofri, Berselli. L'obiettivo lo coglie sotto i portici. La domenica, a braccetto con la moglie Flavia. Fisionomicamente, l'esatta altra metà di Veronica, la first lady di Macherio. Forse più simili di quanto si possa pensare.

Tutto il prodismo è un gioco di ossimori. Prodi il buono sorridente. Ma anche il sospettoso vendicativo. Prodi democristiano, eppure bipolarista convinto. Prodi di centro, Prodi di sinistra. E l'intera stagione di Romano è come la prima e la seconda Repubblica. Questa è cominciata da un pezzo, ma la prima non è mai morta.

Lo dice la storia delle sue sconfitte. Una volta abbattuto da Bertinotti. L'altra da Mastella. "Io sto fermo, non mi muovo...", lo canzonava Corrado Guzzanti in tv. Così gli altri gli girano intorno. Una volta alla destra, una volta alla sua sinistra. Bertinotti, e dieci anni dopo Mastella. Nemici che diventano amici. Amici che diventano nemici. D'Alema, e dieci anni dopo Veltroni.

In mezzo, c'è l'Italia nell'euro. L'abbraccio con Ciampi. E l'affetto del popolo della sinistra. Per metà amore disinteressato. Per l'altra paura del Cavaliere. Nelle istantanee del prodismo non entrano tutti e quattro i milioni delle primarie. La gente in fila per il partito democratico. Il suo sogno americano in salsa emiliana. Il sogno che mentre si realizza è in cima alla lista dei soliti sospetti. Un altro ossimoro. Forse l'ultimo.

Capita a chi vive la sua stagione in simbiosi opposta e avversaria.
Come in Highlander, alla fine ne resterà uno solo.
Tra i due, Silvio Berlusconi.

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